Il problema degli studentati: si paga la retta, sì o no ?

Un altro tema “caldo” molto dibattuto in questi giorni di emergenza provocata dalla diffusione del virus Covid-19, ed in virtù dei provvedimenti assunti dalle pubbliche autorità, è quello degli Studentati.

Gli ospiti degli studentati hanno, o meno, il diritto di omettere, sospendere o ridurre il pagamento delle rette, o di chiederne il rimborso ?

La tematica è ampia e diversificata.

In particolare, qui affronteremo il caso di tutti quegli studenti che, a seguito della chiusura delle strutture universitarie, avvenuta in ottemperanza al D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020, abbiano deciso di tornare alle proprie abitazioni, trovandosi successivamente impossibilitati – in virtù del DPCM del 9 marzo (che ha esteso su tutto il territorio nazionale il divieto di spostamenti) e del 22 marzo (che ha vietato anche il rientro presso domicilio, abitazione e residenza, sospendendo le attività studentati) – a rientrare presso gli studentati di appartenenza.

Premessa

Al fine di contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid -19, il Governo ha adottato una serie di misure restrittive sull’intero territorio nazionale.

In particolare, tra i vari provvedimenti, possiamo qui richiamare:

– il D.L. 23 febbraio 2020 n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020 n. 13 (abrogato dal D.L. 25 marzo n. 2020 n. 19, ad eccezione degli art. 3, comma 6 bis, e 4);

– il D.P.C.M. 8 marzo 2020;

– il D.P.C.M. 9 marzo 2020;

– il D.P.C.M. 11 marzo 2020;

– il D.P.C.M. 22 marzo 2020;

– il D.L. 25 marzo 2020 n. 19

Si precisa che le altre misure, ossia contenute in provvedimenti diversi da quelli sopra indicati, si applicheranno solo per altri 10 giorni dall’entrata in vigore del D.L. 25 marzo n. 19, così come sancito nel medesimo D.L..

Tra le varie misure adottate è stata prevista la sospensione o la riduzione o chiusura di numerose attività, commerciali e non, tra le quali le attività e/o l’esercizio degli studentati.

Tra i servizi sospesi, sono stati ricompresi anche quelli educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, inclusa quella universitaria.

E’ stato, altre sì, disposto l’obbligo, per tutte le persone, di evitare ogni e qualsivoglia spostamento non dettato da comprovate esigenze lavorative, situazione di necessità o motivi di salute.

Attualmente, le norme adottate per fronteggiare l’emergenza Covis-19, non riportano alcunché circa la possibilità di sospendere il pagamento delle rette, né di richiedere il rimborso delle quote già versate.

Pertanto, per fronteggiare tale problematica, occorrerà, anzitutto, analizzare le singole clausole presenti nei contratti e, in secondo luogo, richiamare i principi generali in materia di obbligazioni ed adempimento, esaminando, in particolare, le ipotesi in cui gli inadempimenti contrattuali possono, in presenza di circostanze eccezionali (forza maggiore, impossibilità della prestazione, ecc.), ritenersi “giustificati”.

CLAUSOLE CONTRATTUALI

Il primo passo da compiere, dunque, è verificare se gli accordi contrattuali e i regolamenti degli Studentati contengano, o meno, clausole che prevedono il pagamento della retta anche in caso di chiusura imposta da eventi esterni (forza maggiore), nonché clausole di recesso e penali.

In tali ipotesi sarà necessario valutare la validità e l’efficacia di dette clausole, con un’indagine necessariamente fatta caso per caso.

FORZA MAGGIORE

L’ordinamento giuridico italiano è privo di una specifica norma che definisca in modo univoco e preciso il concetto di forza maggiore.

Secondo dottrina e giurisprudenza, vi è forza maggiore in caso di eventi naturali e umani (calamità naturali, terremoti, uragani, sommosse, guerre, scioperi nazionali, incendi, o altro evento) che, per la loro imprevedibilità e straordinarietà, sono fuori dal controllo delle parti.

In presenza di una causa di forza maggiore, se dimostrata, il contraente inadempiente è liberato da responsabilità e dal risarcimento del danno.

In questo senso, con riferimento ai contratti di vendita internazionali di beni, la Convenzione di Vienna del 11.4.1980 (art.79) e la Camera di Commercio Internazionale in materia di adempimenti commerciali, hanno qualificato in generale l’epidemia tra gli eventi costituenti causa di forza maggiore, al fine di giustificare l’inadempimento dei debitori e quindi esonerare questi ultimi dalla responsabilità per inadempimento e dal risarcimento dei danni.

IMPOSSIBILITA’ DELLA PRESTAZIONE

Ai sensi dell’art.1256 c.c. l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.

Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.

L’art. 1258 c.c., disciplina invece il differente caso in cui l’impossibilità risulti solo parziale, potendo il debitore liberarsi eseguendo la prestazione per la parte rimasta possibile.

Si ritiene che vi sia impossibilità della prestazione per “factum principis” quando sopraggiungano provvedimenti di legge o di carattere amministrativo emessi dalle competenti autorità governative che, per tutelare l’interesse pubblico, impongano prescrizioni comportamentali o divieti che rendano impossibile la prestazione dell’obbligato indipendentemente dalla sua volontà.

Occorre tuttavia precisare che, secondo la giurisprudenza, a tal fine è necessario che: (a) il factum principis sia ragionevolmente e facilmente prevedibile all’atto della sottoscrizione del contratto e (b) il debitore non abbia tentato, con ragionevole sacrificio, di percorrere tutte le soluzioni astrattamente possibili per superare i limiti imposti dai provvedimenti.

ECCESSIVA ONEROSITÀ’ DELLA PRESTAZIONE

A norma dell’art. 1467 c.c., nei contratti ad esecuzione continuata, periodica, o differita (c.d. contratti di durata), nel caso in cui la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa a causa del verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto.

L’eccessiva onerosità (secondo una valutazione rimessa al giudice) deve essere sopravvenuta rispetto al momento della stipula dell’accordo e risulta irrilevante se chi la invoca è già in ritardo con il suo adempimento ed è quindi in mora.

La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale la risoluzione è domandata, può evitare la risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

RESPONSABILITÀ DEL DEBITORE: art. 1218 c.c.

Ai sensi dell’art. 1218 c.c., il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Pertanto, al fine di esonerarsi dalle conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte, il debitore deve provare che l’inadempimento è stato determinato da “causa a sé non imputabile”, la quale è costituita non già da ogni fattore a lui estraneo che lo abbia posto nell’impossibilità di adempiere in modo esatto e tempestivo, bensì solamente da quei fattori che, da un canto, non siano riconducibili a difetto della diligenza che il debitore è tenuto ad osservare per porsi nelle condizioni di adempiere e, d’altro canto, siano tali che alle relative conseguenze il debitore non possa con eguale diligenza porre riparo.

RESTITUZIONE DELLA PRESTAZIONE RICEVUTA: art. 1463 c.c.

Tale norma dispone che, nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta, non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RITARDI O INADEMPIMENTI CONTRATTUALI: ART 91 D.L. 17.03.20 n. 18, c.d. “Decreto Cura Italia”

Le disposizioni contenute nel comma 1 dell’art. 91 del D.L. c.d. Cura Italia, attraverso un’integrazione al precedente D.L. 6/2020, prevedono che il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 è sempre valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore per inadempimento o ritardo ai sensi dell’art. 1218 c.c., anche ai fini di eventuali decadenze o penali, connesse ai ritardati o omessi adempimenti.

CONCLUSIONI

Esposto tale complesso e in parte recente quadro giuridico, formuliamo le nostre ragionate conclusioni prendendo in debita considerazione tre differenti periodi temporali.

  1. A) Periodo dall’1 al 23 Febbraio, durante il quale le Università erano regolarmente aperte.
  2. B) Periodo dal 23 Febbraio al 22 Marzo, caratterizzato dalla chiusura delle strutture universitarie, con la previsione di attività di didattica da espletarsi solo a distanza.
  3. C) Periodo dal 22 Marzo, data in cui il DPCM ha imposto la chiusura dei pensionati/studentati, in quanto non rientranti nelle categorie Ateco.

I primi due periodi di cui alle lettere A) e B) possono essere trattati congiuntamente.

Si ritiene infatti che la chiusura delle strutture universitarie (e non delle relative attività didattiche che, sia pur con modalità telematiche, sono proseguite) non assuma rilevanza al fine della corresponsione delle rette degli ospiti.

di Andrea Montanari©, avvocato del foro di Bologna, cofondatore e managing coordinator LAETA Consulting  S.B.

Promotore progetto LAETA emergenza CV-19

e di Teodoro Sinopoli ©, avvocato civilista del foro di Bologna, referente ufficio studi progetto LAETA emergenza CV-19

 

 

Photo by Christian Dubovan on Unsplash

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