Ultim’ora: depenalizzazione delle violazioni delle disposizioni di “distanziamento sociale” e nuovo (quarto) modulo di autocertificazione

L’art. 4 del nuovo DL nr. 19 del 25 marzo 2020 (pubblicato il  25 marzo 2020 in Gazzetta Ufficiale Serie Generale nr. 79) depenalizza la violazione alle disposizioni incidenti sulla libertà personale e sullo svolgimento delle attività commerciali ed economiche finalizzate al contenimento dell’emergenza sanitaria, sino ad oggi ricondotte alla contravvenzione prevista dall’art. 650 del codice penale, qualificandole espressamente come “illecito amministrativo” disciplinato dalla legge 689/1981 e punito con sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 3000 euro.

La depenalizzazione della violazione delle misure di distanziamento sociale, comporterà, inevitabilmente, la necessità di procedere, per la quarta volta, all’aggiornamento del modello di autodichiarazione, limitatamente alla parte in cui tale modello fa riferimento all’art. 650 c.p. (codice penale) – quale sanzione prevista in caso di inottemperanza alle prescritte misure di contenimento – sostituendola con il richiamo al nuovo D.L. n. 19 e con la specificazione delle conseguenze sanzionatorie, di natura amministrativa, attualmente previste in caso di violazioni.

La determinazione del quantum di sanzione da applicare nel caso specifico all’interno della cornice edittale (così come la determinazione delle sanzioni accessorie facoltative) viene operata in applicazione dei criteri definiti dall’art. 11 della legge 689/81 (analogo all’art. 133 del CP) che prescrive di avere “riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.

L’art 4 del nuovo DL contiene per la verità una clausola di riserva penale generale in forza della quale la “depenalizzazione” opera salvo che il fatto costituisca reato (un qualsiasi reato, evidentemente, ma non, ribadiamo, la contravvenzione di cui all’art 650 cp che è esplicitamente esclusa, così come lo sono la altre “sanzioni contravvenzionali” previste da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanita’, di cui all’articolo 3, comma 3) , caso per il quale prevarrà naturalmente la norma penale incriminatrice.

Le misure di contenimento dell’emergenza sanitaria la cui violazione rappresenta da oggi illecito amministrativo sono:

(a) tutte quelle ben note già contenute nei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati in data 8 marzo 2020, 9 marzo 2020, 11 marzo 2020 e 22 marzo 2020 per come ancora vigenti alla data di oggi (mentre le altre misure, ossia contenute in provvedimenti diversi da quelli indicati, si applicheranno solo per altri 10 giorni), nonché

(b) quelle nuove comunque rientranti nella tipologia indicata in via generale dall’art.1 comma 2 e che saranno individuate nel dettaglio ed adottate con DPCM (art. 2 c. 1),  ovvero (c) quelle ancora più restrittive eventualmente adottate – ma solo con efficacia temporanea e sino all’adozione con DPCM – dalle singole regioni in relazione a specifiche situazioni locali di aggravamento del rischio sanitario (art. 3) [1].

La sanzione pecuniaria sopra indicata in via generale potrà essere aumentata sino ad un terzo in caso di mancato rispetto delle misure con utilizzo di un veicolo e per gli esercizi commerciali  la violazione (nei casi di cui all’articolo 1, comma 2, lettere i), m), p), u)) comporterà anche la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. L’autorità procedente potrà disporre immediatamente, già all’atto dell’accertamento, la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni, se lo riterrà necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione e il periodo di chiusura provvisoria verrà poi scomputato in fase di esecuzione dalla corrispondente sanzione accessoria definitivamente irrogata.

In caso di recidiva (art. 4 co 5) la sanzione è raddoppiata e si applica quella accessoria nella sua misura massima

Dunque, cosa cambia principalmente da oggi in poi (ma di fatto vale anche per le violazioni passate, come si vedrà fra un attimo)?

Il verbale che contesta una violazione non è più il primo atto di un procedimento penale assistito da tutte le relative garanzie e con possibilità di ricorso a riti speciali (ad esempio l’oblazione), bensì un atto di accertamento cui farà seguito, sostanzialmente senza contraddittorio, la emanazione e notifica di un atto di irrogazione di una sanzione pecuniaria da 400 a 3.000 euro da parte dell’autorità competente (individuata nel Prefetto per le misure di contenimento introdotte con DPCM e nelle “autorità che le hanno disposte” per le misure di cui all’art. 3, quindi sostanzialmente regioni e sindaci) , con obbligo per il trasgressore di pagamento e apertura di una eventuale fase giurisdizionale di controllo, davanti al giudice civile, solo in caso di opposizione all’ordinanza ingiunzione che l’Autorità abbia emesso a carico del trasgressore che non abbia adempiuto spontaneamente nei termini.

A tale proposito, vengono anche richiamate le norme della legge 689/81 sul pagamento in misura ridotta,  e perciò – ferme le sanzioni accessorie –  il trasgressore potrà pagare la sanzione nel minimo edittale previsto (dunque 400 euro) se adempie entro 60 gg dalla contestazione o notificazione del verbale [2]; potrà pagare il minimo edittale ridotto di un ulteriore 30% (quindi 280 euro) se adempie entro 5 giorni, o immediatamente a mani dell’accertatore con mezzi di pagamento elettronico.

La violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, perche’ risultate positive al virus, costituisce tuttora reato (comma 6 dell’art. 4) , in particolare (mediante richiamo all’art. 260 TU leggi sanitarie)  una contravvenzione non oblazionabile punita con arresto da 3 a 18 mesi e ammenda da 500 a 5 mila euro, con aumento della pena sino ad un terzo “Se il fatto e commesso da persona che esercita una professione o un’arte sanitaria” (co. 2 dell’art. 260 TU leggi sanitarie). Ciò sempre che – vista la clausola di riserva con cui si apre il comma 6 – il fatto non risulti punibile a titolo di epidemia colposa (delitto che l’art. 452 del cp punisce con reclusione da 1 a 5 anni) , o anche come più grave reato (prima di tutto, senz’altro, il delitto di epidemia cagionata con la volontaria diffusione di germi patogeni di cui all’art. 438 CP, punita con l’ergastolo), ricorrendo tutti gli elementi costitutivi della fatispcie di volta in volta considerata.

Infine, molto significativo il comma 8 dell’art 4, che prevede espressamente la retroattività della nuova disciplina di depenalizzazione: ovvero, le disposizioni che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla meta’.

La previsione pare dettata dall’esigenza di evitare l’appesantimento del sistema giudiziario penale con una pletora di procedimenti per 650 CP, ma anche di   garantire una uniformità di trattamento tra chi ha violato sino a ieri (che nell’immediato non avrebbe pagato nulla e si sarebbe sì trovato imputato in un procedimento penale, ma di fatto con possibilità di oblazionare e quindi estinguere il reato con il versamento di meno di 200 euro, spese processuali comprese) e chi violerà a partire dal 26 marzo, che non avrà pendenze penali ma dovrà certamente pagare una somma di danaro la cui entità dipenderà anche dalla rapidità del pagamento stesso. Sempre nella prospettiva di mantenere unformità di trattamento, l’applicazione retroattiva della sanzione pecuniaria amministrativa viene a priori calmierata nel quantum, limitato alla metà del minimo, quindi 200 euro (somma molto prossima ai 280 con cui si può estinguere la sanzione pagando immediatamente o entro 5 giorni).

Ma quindi qual è la sorte delle migliaia di procedimenti penali già pendenti a seguito delle contestazioni formalizzate nelle settimane precedenti, o addirittura già definiti con decreto penale di condanna o sentenza passata in giudicato?

Le due situazioni trovano disciplina in norme già esistenti, gli artt. 101 e 102 d. lgs. 507 del 1999, cui l’odierno decreto infatti rinvia: il giudice dell’esecuzione provvederà – con l’osservanza della procedura de plano contemplata dall’art. 667, comma 4, c.p.p.  e mediante ordinanza da notificare all’interessato – a revocare la condanna contenuta nel decreto definitivo o nella sentenza perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; per i procedimenti penali pendenti, invece, l’Autorità giudiziaria trasmetterà, entro 90 gg. dall’entrata in vigore della nuova normativa, gli atti alla competente Autorità per l’irrogazione della sanzione amministrativa.

In particolare, se il procedimento era ancora in fase di indagine e l’azione penale non era stata ancora esercitata, la trasmissione verrà disposta dal P.M. , salvo che il reato risulti già estinto, caso nel quale il P.M. richiederà l’archiviazione al G.I.P. ai sensi dell’art. 411 c.p.p.; se l’azione penale era già stata esercitata, il giudice dichiarerà con sentenza il non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e trasmetterà poi gli atti alla competente Autorità amministrativa.

Il decreto legge in commento è stato pubblicato il  25 marzo in Gazzetta Ufficiale (serie generale nr. 79) , è entrato in vigore il 26 marzo e dovrà essere presentato in Parlamento per la conversione, con tutte le conseguenti problematiche in materia di diritto intertemporale.

All’esito di questa prima analisi del testo dell’art. 4, non può negarsi che la depenalizzazione realizza un notevole potenziamento dell’efficacia dissuasiva e dell’effettività dell’apparato sanzionatorio posto a tutela del rispetto delle misure di contenimento, a conferma del fatto che – come da tempo da più parti si sostiene – l’uso dello strumento penale assolve spesso a funzioni di captazione e mantenimento del consenso mediante il soddisfacimento delle aspettative “giustizialiste” del pubblico, ma non è necessariamente il più efficace, a fronte della immediatezza e ridotta giurisdizionalizzazione del procedimento di irrogazione e impugnazione delle sanzioni pecuniarie amministrative, certamente assistito da un “tasso” di garanzie difensive non paragonabile a quello penale.

di Paola Mutti ©, Avvocato penalista del foro di Bologna, Partner LAETA Consulting  S.B.

e

di Teodoro Sinopoli ©, Avvocati civilista del foro di Bologna, Referente Ufficio studi progetto LAETA emergenza CV-19

[1] Si precisa che le Regioni possono emanare disposizioni restrittive esclusivamente nell’ambito delle attivita’ di loro competenza e senza incisione delle attivita’ produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale e che i Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, ne’ eccedendo i limiti di oggetto di cui al comma 1

[2] L’ultimo capoverso del comma 3 dell’art 4 specifica che ai procedimenti di irrogazione delle sanzioni si applica l’Art. 103 DL 17 marzo 2020 n 18 (Sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza) in forza del quale – come noto – anche tutti i termini relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, sono sospesi sino al 15 aprile 2020 .

Tanto premesso, comunque, se non si è proceduto alla contestazione immediata, il verbale contenente la contestazione va notificato al trasgressore entro 90 gg. (se residente in Italia, e 360 gg., se residente all’estero) ed entro i successivi 60 gg. è possibile procedere al pagamento in misura ridotta o, in alternativa , dall’altro, per la tutela in sede amministrativa.

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